Le prossime elezioni italiane del 4 Marzo 2018 saranno una pantomima triste e noiosa, condita da una Legge elettorale con la quale in pratica nessuno può veramente vincere, e con la quale si struttura a norma la necessità di fare, se si vuole creare un governo, una disgustosa ammucchiata. Ammucchiata che in realtà registriamo dal 1861. Una delle novità di queste elezioni è però che il Governo della Nazione, senza che ci sia una nazione, perché una nazione italiana non esiste, viene standardizzato. Non urlino, i 5Stelle neogovernativi, neofavorevoli all’Euro e neoeuropeisti dell’Europa filo islamica delle multinazionali, dalle quali fila, dopo le scorse elezioni, sono subito usciti deputati e senatori verso il PD, così come da forza Italia uscì il gruppo di ALA ecc., a rinforzo della chiara evidenza che Renzi è un fantoccio di Berlusconi.
La realtà è che all’interno dello Stato italiano impera una elite di famiglie, poche centinaia, che tengono in piedi la pantomima della democrazia, e cioè un sistema di partiti le cui sigle servono unicamente a far illudere la popolazione di fare una scelta, mentre non si sta scegliendo un bel niente, ma solo volti rimovibili che recitano in un teatro di proprietà delle stesse persone, e il cui regista è pagato sempre da queste. Anche in questo panorama rivoltante, però, ci preme far notare che qualcosa si è mosso, perché per ingannare le popolazioni ci si deve a volte inventare qualcosa di nuovo.
E questa volta l’invenzione odora davvero di cedimento: ed ecco a voi la Lega 2.0. Un partito ormai finito, sfilacciato, azzannato dalla magistratura, con i sacchetti di diamanti e le scope portati sui palchi, dato per morto da tutta la stampa, toglie la parola Nord dal simbolo e con un colpo di teatro, sempre quel teatro il cui regista è pagato dalle poche famiglie e dalle cosche mafiose che contano, si ricicla come un partito pienamente unionista italiano, federalista, occupando soprattutto lo spazio anti immigrazione: loro, che hanno governato vent’anni facendo invadere la penisola italica da quasi 6 milioni di invasori tramite la Bossi Fini, una fabbrica di irregolari che servivano ai grandi industriali e agrari del nord e del sud, con lo scopo di distruggere il mercato del lavoro e a tenere i prezzi della manodopera a livelli bassissimi.
Invece di sputargli in faccia, la gente ha riniziato a votarli in massa, e voglio citare l’indubbio grande successo dei recenti referendum sull’autonomia in Veneto e in Lombardia, un successo targato Lega di Maroni ma soprattutto di Zaia. Ma un successo ottenuto come? Parlando di autonomia e federalismo, e seducendo le platee ancora poco organizzate degli indipendentisti, che soprattutto non hanno visibilità comune perché non trovano un vero leader. Hanno scritto, sulle schede dei referendum, autonomia, ma si leggeva indipendenza, e facciamo notare che questo avveniva mentre scoppiava la questione catalana, che dimostrava all’Europa e al mondo che l’Unione Europea è un’organizzazione criminale di stampo non neo, ma fascista e franchista, gestita da poche multinazionali, da elite antidemocratiche e da cosche filo islamiche, le stesse che hanno regalato al Kosovo una indipendenza islamista che non ha basi alcune nel diritto internazionale. Diciamo questo con rispetto per chi, di destra, ha fatto, dal dopoguerra in poi, enormi passi, reali, verso la democrazia. Dunque, veniamo alla questione che ci preme: parlare di autonomia e di federalismo, all’interno dello Stato italiano, lo dichiara il sottoscritto che è un indipendentista puro, è di per se una rivoluzione. La domanda sorge elementare: perché la Lega Nord diventa Lega, sottinteso federalista, e può andare improvvisamente a parlare di italia e di Europa dei popoli da Enna a Bolzano alla Val d’Aosta? Perché i terroni sono diventati, improvvisamente, fratelli dei polentoni? Ci viene da rispondere: perché i federalisti, gli autonomisti e gli indipendentisti sono tantissimi, la loro presenza non è più negabile, e perché senza la massa di persone che stanno elaborando in questi anni i concetti di autonomia, federalismo, governo dal basso, indipendentismo, non si vince. E si faccia attenzione: se il centrodestra il 4 marzo vincerà numericamente le elezioni, si porterà in parlamento gente, e non poca, di marca autonomista, federalista, indipendentista, che non sarà più possibile far tacere, che sarà pericolosissimo ingannare, che sarà davvero suicida prendere per il naso. Salvini, una persona alla quale non davamo nemmeno la patente di politico, ha scoperchiato la pentola della questione etnico nazionale all’interno dello Stato italiano: l’italia non è una nazione, ma uno Stato multinazionale. Apriti cielo: il vaso di Pandora si è rotto davvero, e per sempre. Il richiamo stesso ad un’Europa dei popoli, fatto spessimmo dai leader leghisti 2.0, in italia diventa ed è un’atomica: come si fa a parlare di Europa dei popoli senza affrontare la devastante e intricatissima questione della presenza di decine di popoli all’interno dello Stato italiano, dove solo il conto delle lingue madri, così chiamo personalmente le lingue parlate, è forse quasi impossibile?
La novità di queste elezioni, dunque, è che la Lega, ma non solo loro, ha scoperchiato, per non essere cancellata, la pentola della questione etnico nazionale all’interno dello Stato italiano. Cito un solo esempio, quello del Partito Sardo d’Azione che si presenta con la Lega in Sardegna, un’alleanza a mio avviso impensabile soltanto un paio d’anni fa, una mossa intelligente e tatticamente validissima in questa fase, che spero consenta agli amici sardi di entrare in Parlamento, ma che rappresenta anche uno spartiacque che certifica una scelta dalla quale, questo si deve vedere e capire nelle sue estreme conseguenze, non si può più tornare indietro. Se la Lega, partito che ha avuto un Ministro dell’Interno italiano, si allea con una formazione di matrice etnica, allora l’intera questione etnica è sdoganata, e così anche quella indipendentista, e si apre una finestra su una penisola italica piena di colori, dal Leone di San marco, alla Forma della trinacria, dal Giglio triestino, al Biancorosso austriaco dei sudtirolesi: elementi declinabili come indipendentisti, federalisti, legalitari, ecc si affacciano con forza nel panorama asfittico dei partiti unionisti italiani.
E qui mi fermo una attimo, per far notare un elemento di grandissimo interesse, che non deve sfuggire a tutti noi, e cioè quello del federalismo. Chi scrive è un indipendentista toscano, e quindi la mia visione politica dell’indipendenza e di un’Europa dei popoli è limpida, ma esiste all’interno dello Stato italiano un’altra questione, che non affrontare sarebbe davvero stupido, oltreché suicida: quella delle popolazioni il cui sentimento di appartenenza nazionale è più sfumato. Mi spiego meglio. In Toscana abbiamo una lunga storia di civiltà comunale, di criticabili signorie e di forma statale del Granducato di Toscana e del Ducato di Lucca, una lingua certificata ecc. Così in Veneto ed in altri territori, ma esistono anche popolazioni dove l’assenza di movimenti indipendentisti ci fa capire la difficoltà delle popolazioni a richiamarsi ad un sentimento nazionale, anche storicamente. Mi riferisco in particolar modo all’Emilia e alle popolazioni di Marche, Abruzzi, Molise, Puglia ecc. che sembrano essere fuori, almeno per adesso, dall’emergere di movimenti indipendentisti. Ma nella visione politica non possono esserci vuoti: il vuoto in politica, così come in fisica, non esiste: qual è il posto che occupano nella nostra visione politica queste popolazioni? E quale significato può avere il concetto di federalismo nella lotta politica comune dei movimenti indipendentisti all’interno dello Stato italiano? In stupida teoria, un indipendentista toscano come me potrebbe tralasciare il problema: noi possiamo sempre dire che il nostro obiettivo politico è l’indipendenza della Toscana ed il suo riconoscimento internazionale. Dicendo questo, cadrei sempre in piedi. Ma non mi basta, perché la politica è trasformazione, e anche quello che sta succedendo adesso per queste elezioni politiche è all’interno di un processo di trasformazione, nel quale gli elementi del federalismo, dell’autonomismo, dell’indipendentismo stanno crescendo e anche mutando forma. Ammettiamo che alcune nazioni all’interno dello Stato italiano raggiungano l’indipendenza, in futuro: che succederà nel resto dei territori? Quale forma avrà uno Stato in trasformazione?
L’interrogativo non è da poco, non all’interno dello Stato italiano. A mio avviso il concetto di federalismo, e dunque di autogoverno organizzato dal basso, piena appunto un vuoto, e probabilmente lo pienerà anche in una dimensione geografico filosofica, forse anche a breve. E qui occorre soffermarsi. Lo scenario politico della penisola vedere crescere i partiti indipendentisti e le forze federalista e autonomiste, non c’è dubbio. Dunque, visto questo trend, che piega prenderà la politica in quei territori dove appunto le forze indipendentiste non sono attualmente presenti? Che valore avrà il concetto ed il richiamo federalista in quei territori, tenuto anche conto che adesso questa forma concettuale ha trovato nella Lega 2.0 una sua forma, che io credo essere ambigua se non truffaldina, ma che comunque coinvolge sinceramente molte persone animate da reale spirito federalista e genuinamente democratico?
Credo che il richiamo sarà fortissimo. Un richiamo ancora unionista italiano, ma sottovalutarne la coloritura federalista, con il suo richiamo ai valori di autogoverno, onestà e democrazia sostanziale dal basso, sarebbe davvero imperdonabile. Voglio citare a questo proposito un Convegno che si è svolto a Roma recentemente, il 26 Gennaio 2018, a cura del Movimento Catilinario, soggetto associativo che si occupa della situazione della città di Roma. Il Convegno prendeva il nome, con un bellissimo titolo, di “Federalismi”, al quale sono stato invitato insieme a degli esponenti dell’EFA, European Free Alliance. Ho accettato, e giustamente, l’invito, perché mi sembrava davvero rivoluzionario che nella città simbolo del centralismo italiano si mettesse in opera un Convegno, a poche settimane dalle elezioni politiche italiane, che parlasse di federalismi, e dunque dei vari modi di intendere e declinare questo concetto, e di poterlo applicare in politica. Mi sembrava chiaro che il concetto di federalismo si potesse declinare: allo Stato italiano, e questo mi sembra un’utopia irraggiungibile, dato il centralismo sito nel DNA dello Stato italiano; all’Europa dei popoli, e questo sarebbe di più facile comprensione; all’Europa attuale, cosa altrettanto irraggiungibile, dato sempre il DNA centralista della UE; e in prospettiva alle varie nazioni che possano nascere dall’azione dei vari movimenti indipendentisti. Ma la prospettiva che mi aveva attratto veramente, era proprio quella della prospettiva federalista da applicarsi all’interno dello Stato italiano, con la contemporanea presenza, in alcuni territori-nazione, di movimenti indipendentisti. Mi affascinava tentare di capire questa doppia presenza, ripeto, vista da Roma, la città centralista per eccellenza, dall’impero romano in poi passando per la catastrofe politica del Papa Re.
E il Convegno non ha smentito affatto le percezioni: trovarsi in una città enorme, che di giorno conta forse sette milioni di abitanti, in una quartiere che in un paio di isolati conta quanti abitanti ha il mio Comune, in una sala parrocchiale dove c’erano comunque una settantina di persone, e sentire le persone parlare delle stesse esigenze e motivazioni che portano acqua ai partiti indipendentisti, è stato davvero importante. Mi sono rivolto alla platea chiedendomi che cosa ci facesse un indipendentista toscano a Roma, di fronte a una platea sicuramente unionista italiana. Ho risposto che ero venuto in quella città accettando la sfida di parlare a delle persone che non conoscevo, dei valori della democrazia e dell’autogoverno, valori che comprendono il federalismo. Lo scrosciante applauso che ha accolto il mio accenno alle lingue madri e alla loro pari dignità di fronte allo scempio coloniale che ha fatto di esse lo Stato italiano per giustificare un senso nazionale tramite una lingua, il toscano fiorentino, rubato e usato come clava criminale per definire le altre lingue “dialetti”, ha confermato ciò che percepivo: che per alcune popolazioni all’interno dell’italica penisola il federalismo è un valore fortissimo ed una utopia liberatoria, in assenza, o comunque in embrionalità di un concetto di nazione propria. Mi sono messo nei panni di queste persone in una città enorme, più grande di molte nazioni che formano la stessa UE: il richiamo ad un federalismo possibile come nuova forma di Stato o di Nazione e come nuova prospettiva di vita civile può assumere una valenza devastante, per il centralismo italiano.
Sono convinto che i vari Salvini non abbiano nemmeno immaginato, men che mai previsto, che cosa può scatenare l’entrata del concetto di federalismo all’interno della forma politica dello Stato italiano: immaginiamo che cosa potrebbe accadere a livello europeo, se i popoli vedessero gli altri popoli come elementi di un quadro federale europeo, dove i valori della democrazia, e ripeto al loro interno quello del federalismo, vedessero la loro piena affermazione. Come indipendentista, la prospettiva mi è chiara, ma ripeto, di nuovo, per altri popoli, dove il tratto indipendentista non è presente, il federalismo assume un’importanza decisiva, per dare l’avvio ad una fase di effettivo cambiamento. Una reale, sostanzialmente democratica Europa dove nazione e popolo siano la stessa cosa, non può prescindere dal concetto e dal motore valoriale del federalismo.
Nella giungla quasi inestricabile etnico nazionale che alberga all’interno dello Stato italiano, la miccia del richiamo federalista, cavalcata con sorprendente disinvoltura dalla Lega 2.0 ricorda da vicino la incredibile leggerezza con la quale il Governo Cameron consentì agli scozzesi di votare nel 2014 per l’indipendenza, creando un precedente che incatenerà l’Europa a una serie di quesiti indipendentisti nei prossimi anni che la trasformeranno radicalmente, speriamo per sempre. Vorrei invitare gli indipendentisti presenti nei territori interni allo Stato italiano a non perdere mai di vista la portata rivoluzionaria del concetto federalista, e a capire che senza una unione elettorale e la ricerca di leaders, i nostri movimenti non avranno la visibilità che una Lega 2.0 di nessuna prospettica credibilità è riuscita di nuovo ad accaparrarsi con lo scopo ultimo di ingannare nuovamente le spinte sinceramente democratiche delle popolazioni, per favorire il già annunciato inciucione del dopo 4 Marzo, riedizione di un copione che va violentemente in onda dal 1861, e che prende il nome di italia.
Carlo Vivarelli
Partito Indipendentista Toscano